giovedì 9 novembre 2023

La prima basilica cristiana

Propriamente detta del SS.Salvatore e dei Ss.Giovanni Battista ed Evangelista, è la cattedrale di Roma. Stiamo parlando della chiesa di San Giovanni in Laterano.

L'imponente facciata attuale risale al 1732-35 ed è opera del Galilei e le statue che ne coronano la balaustra sono di Cristo, dei Ss. Giovanni Battista ed Evangelista e dei Dottori della Chiesa.
Tale facciata è svuotata in basso dal portico architravato e in alto dalla loggia ad arcate, che è trasposizione dell'invenzione cortonescadi S. Maria in via Lata2.




L'interno basilicale a 5 navate si presenta nel rifacimento del Borromini3, al quale si devono anche le sistemazioni dei più antichi monumenti funebri e le cappelle laterali. 

L'impianto originario di questa famosa basilica non è però seicentesco: si tratta infatti di fondazione costantiniana ed è solo a fine VI che assume l'attuale titolazione (anche per via dell'immagine acheropita del Sacro Volto custodita nella vicina cappella di S. Lorenzo in Palatino).

"E' del tutto probabile(..)che una vera architettura basilicale cristiana sia nata soltanto con Costantino, pur se non si può escludere che qualche edificio precostantiniano possa aver fornito eventuali spunti per lo sviluppo della planimetria e dell'alzato della prima grande basilica del mondo cristiano"4

Già a partire da Leon Battista Alberti, molti eruditi si sono cimentati con il tema dell'origine della basilica cristiana, dando però per scontato che ogni architettura dovesse ispirarsi comunque a precedenti edifici da considerare come modelli di riferimento.

Nella progettazione di un'opera architettonica, infatti, il primo elemento condizionante è la funzione cui l'edificio è destinato. Siamo qui in presenza di spazi con una un uso del tutto nuovo, di un culto del tutto nuovo, quello cristiano. Non saremmo quindi in presenza di una mera imitazione delle basiliche del mondo pagano, ma di un edificio così concepito per perseguire un preciso scopo.
Il luogo di questo culto doveva infatti contenere un numero enorme di persone e in esso doveva svolgersi  una cerimonia che aveva il suo fulcro non al centro, bensì nel polo terminale di una struttura longitudinale. Una tale aula rettangolare absidata ricorda le grandi aree tricilinari in voga in quell'epoca: in effetti essendo proprio un sacro convito che andava celebrandosi nel culto cristiano, ciò avrà suscitato nell'architetto proprio l'immagine delle aule tricilinari.
Il tipo di copertura, con tetto a spiovente, doveva essere inevitabile per un edificio di tal forma: la larghezza massima di una navata non poteva superare di molto i 25 m circa, in coerenza con le massime lunghezze ottenibili per le travi trasversali maggiori anche da alberi di altissimo fusto. Le navate poi dovevano essere in numero dispari, poiché la navata centrale, che era la più larga, doveva emergere rispetto alle altre per dare luce alla zona più importante dell'edificio. Inoltre poiché i fedeli dovevano aver modo di guardare verso il polo presbiteriale, i muri di partizione longitudinale, dovevano essere "permeabili" nella parte bassa e quindi poggiare necessariamente su sostegni più sottili possibili: le colonne dunque erano certo preferibili ai più massicci pilastri tipici delle basiliche civili del mondo romano, che non avevano la necessità di un permeabilità visiva in direzione obliqua. Qui però le colonne con architrave furono poste solo nella navata centrale, dove i muri più alti e quindi più pesanti consigliavano quel tipo di sostegni: nelle navatelle laterali si volle invece tentare un'innovazione che presentava dei vantaggi in quel senso: si preferirono  partizioni a colonne sormontate da arcate in laterizio, che potevano anche permettere una maggiore distanza tra le colonne e quindi una maggiore "trasparenza".


Assonometria ricostruttiva della fase costantiniana, da BRANDENBURG 2004
(in Lezioni di Archeolgia Cristiana)

Francesco Borromini si preoccupò di rilevare, prima della deprecabile distruzione, l'aspetto e la proporzione di un tratto di colonnato originario nella sua proporzione reale, che si arricchiva anche di una sorta di pulvini.
 
Quella della basilica Lateranense risulterebbe dunque essere una soluzione decisamente nuova anche perché, associata con la struttura laterizia, permetteva una maggiore elevazione dei muri sovrastanti e corrispondeva ad un'indiscutibile eleganza della struttura architettonica.

Un altro aspetto piuttosto innovativo della realizzazione lateranense è certo la notevole altezza della navata centrale rispetto alle laterali e ad un'altrettanto insolita parete terminale decisamente emergente nella quale si aprivano finestre ampie e numerose. Le basiliche civili a più navate di età classica sembra avessero infatti una limitatissima emergenza nella parte centrale. 5

Come detto all'inizio l'architettura e decorazioni attuali sono frutto di interventi di secoli (la basilica ha subito numerosi saccheggi e danneggiamenti nel corso della sua storia);

La porta centrale del portico ha i battenti dell'antica Curia Iulia presso il Foro romano, ma trasformati attorno al 1600 con l'aggiunta delle fasce di contorno (possono vedersi stemmi di Alessandro VII) per adattarli alle  nuove dimensioni.



Nello stesso portico troviamo anche un'antica statua di Costantino proviene dalla sue terme sul Quirinale.


A chiudere la navata centrale vi è un sontuoso ciborio gotico del 1367, decorato da affreschi di Barna di Siena.
Sotto il ciborio è conservato l'altare papale, che racchiude l'antico altare ligneo delle celebrazioni dei primi papi.
Nel Quattrocento la decorazione interna è affidata ai due maggiori esponenti dell'arte tardo-gotica, Pisanello e Gentile da Fabriano.
Il transetto è un interessante esempio di manierismo romano del tardo cinquecento.
Il prezioso soffitto ligneo dorato della navata centrale risale alla seconda metà del '500.
Delle metà del Seicento è il già citato intervento del Borromini.
La zona del presbiterio e dell'abside è stata rifatta nella seconda metà dell'800 da Francesco Vespignani, che ha ripetuto, senza alterarlo, lo schema originale dell'abside antica. In seguito a tale rifacimento è stato trasportato e pesantemente restaurato il mosaico che decora la semicalotta absidale, eseguito verso il 1290 da Jacopo Torriti.






Il chiostro è un capolavoro di arte cosmatesca, costruito nel 1215-32 dai Vassalletto6 (le volte degli ambulacri furono costruite posteriormente, insieme alla semirustica sopraelevazione ad arcate del loggiato).

L'innovazione di questa  basilica non è data sola dalla sua forma: all'intromissione progressiva del cristianesimo va riconosciuta in un decisivo mutamento delle polarità urbanistiche: non è più la sola area forense centro propulsivo e vitale della città romana, ma molteplici nuovi poli urbanistici, quelli della Roma cristiana, l'aulico complesso lateranense appunto e i santuari suburbani di Pietro e Paolo. Sono questi, ormai da tempo, i nuovi spazi dell'aggregazione collettiva (nel IX secolo troveremo l'area forense completamente privatizzata), situati non nel centro, ma in zone periferiche (anche per non dare troppo fastidio all'aristocrazia pagana).

Era infatti a sud-est della città, in prossimità delle Mura Aureliane -in particolare appena entrati dalla Porta Asinaria- che il cristianesimo, supportato in modo esplicito dall'evergetismo imperiale, si imponeva con una tangibilità senza precedenti in una macroarea acquisita dal demanio imperiale e che aveva assunto, dall'età severiana, caratteri di accentuata militarizzazione con la presenza dei Castra nova degli equites singulares7, sotto l'egida dell'adiacente palazzo imperiale del Sessorium. 
L'intervento di Costantino è ben documentato nella biografia di papa Silvestro nel Liber Pontificalis; Tale "(..)occupazione di spazi periferici per impianti di notevole importanza si inserisce entro una tendenza che si può ritenere in qualche modo tipica dell'urbanesimo tardoantico, dal carattere policentrico(..)che va a privilegiare appunto spazi urbani perimuranei" 8


S.Maria in via Lata

Sono molti gli elementi trionfali nella basilica, ad indicare l'esplicita protezione dell'imperatore, che aveva elargito grandissime donazioni. La macrodonazione al Laterano può essere vista come il "sigillo" di "protezione"imperiale. 

Note:
1. Pietro da Cortona (1596-1669)
2. L'attuale via del Corso
3. Francesco Borromini (1599-1667)
4. F.Guidobaldi "Architettura paleocristiana" p.366 in Lezioni di Archeologia Cristiana, a cura di Fabrizio Bisconti e Olof Brandt, Città del Vaticano 2014.
5. L'uso delle colonne nasce in Grecia per uso religioso, poi si diffonde nell'architettura pubblica e in seguito anche in case private.
6. Trattasi di una famiglia di marmorari, scultori e architetti romani, attivi nella seconda metà del XII e nel corso del XIII secolo.
7. Avevano combattuto con Massenzio.  Non si trattava di una decisione di solo carattere punitivo, ma dettata anche dal fatto che era ormai pericoloso mantenere una Roma militarizzata (gli imperatori venivano ormai eletti dai militari). Anche i castra praetoria con Costantino sono demilitarizzati.
8. L.Spera "La cristianizzazione di Roma: forme e tempi" in Lezioni di Archeologia Cristiana, a cura di Fabrizio Bisconti e Olof Brandt, Città del Vaticano 2014, p.224


Bibliografia:
F.BISCONTI -O.BRANDT (a cura di), Lezioni di archeologia cristiana, Città del Vaticano, 2014
Guida d'Italia - Roma, Touring Club Italiano, 2015

 

martedì 18 luglio 2023

Incendio di Roma e riforma urbanistica neroniana

L’incendio scoppiato a Roma nel 64 d.C. è passato alla storia. E’ altamente probabile che si sia trattato di un evento casuale: a Roma infatti gli incendi erano molto frequenti, a causa della strettezza e dell’intasamento dei vicoli, della concentrazione di legname e altri materiali infiammabili. Fu un vero e proprio flagello, una catastrofe: durò 10 giorni, dal 19 al 28 luglio. Il fuoco si sviluppò nella zona del Circo Massimo -quella confinante con Celio e Palatino -nei cui magazzini era stipata una grande quantità di merci. Botteghe, baracche di legno, merci infiammabili, in parte addossate al muro del Circo, furono subito preda delle fiamme. Di lì il fuoco raggiunse il Palatino. Sospinto da un forte vento aggredì il Foro Romano, il Velabro, il Foro Boario, trovando facile alimento «nelle vie strette e tortuose e negli immensi agglomerati di case della vecchia Roma».1 Le case antiche, infatti, avevano numerose parti di legno e lo stretto accostarsi delle insulae facilitava la propagazione delle fiamme.


Uno degli autori di riferimento per l’incendio è Tacito. Questo storico ci informa sulla sua estensione, scrivendo che solo quattro dei quartieri di Roma 2 erano rimasti intatti. Si salvarono infatti Porta Capena (I), Esquilino (V), Alta Semita (VI) o Via Lata (VII) e Trans Tiberim(XIV). Tre Regioni (l’XI, Circus Maximus, la X, Palatium, e la III Isis et Serapis) furono distrutte completamente 3 e altre sette danneggiate parzialmente. Fra i monumenti pubblici subirono grandissimi danni i templi di Giove e Apollo sul Palatino, quello di Vesta, la Biblioteca Palatina, il teatro di Marcello. Subirono ingenti danni anche la Domus Tiberiana e la stessa dimora di Nerone, la Domus Transitoria.4 Secondo quanto riportatoci da Torelli 5 sarebbero stati 200.000 i senza tetto e 10-12.000 le insulae distrutte: cifre che seppur approssimative danno un’idea dell’enormità del disastro. La serie di are che fu eretta ai tempi di Domiziano (81-96) lungo i limiti raggiunti dalle fiamme, permettono di averne un’idea precisa.
6
I danni di questo devastante incendio riemergono con evidenza dagli scavi. Le ricerche condotte nelle vicinanze dell’Arco di Costantino hanno riportato in luce i resti dell’antico santuario delle Curiae Veteres, cancellato dalle fiamme. Le gradinate calcinate dalle altissime temperature sono state trovate ancora sepolte dal crollo degli edifici circostanti, insieme a resti di travi carbonizzate e metalli fusi.7
Nell’immaginario collettivo Nerone viene spesso ricordato come l’autore dell’incendio: l’accusa nasce già in antico. Nella sua descrizione Tacito si preoccupa di riportarci le opinioni che circolavano a quel tempo sulla causa di un tale disastroso evento. Così scrive nei suoi Annales: «Seguì un disastro, non si sa dovuto al caso, oppure alla perfidia di Nerone, poiché gli storici interpretano la cosa nell’uno e nell’altro modo…».8 Lo storico ci informa che allo scoppio dell’incendio Nerone si trovava ad Anzio e non fece ritorno a Roma se non quando il fuoco si avvicinava alla sua casa - che sorgeva in continuazione del Palatino e dei giardini di Mecenate e che «non si poté impedire al fuoco di avvolgere il palazzo, la casa e tutti i luoghi circostanti» 9 La casa a cui fa riferimento è la Domus Transitoria.10 Per quanto riguarda le accuse all’Imperatore Tacito riporta la notizia che a Roma correva voce che proprio mentre la città bruciava, Nerone fosse salito sul palcoscenico del suo palazzo e avesse cantato la distruzione di Troia.11

Dal film "Quo vadis" (1951)

E che per stornare le accuse dalla sua persona non bastarono contributi e pratiche religiose propiziatorie, ma arrivò a servirsi dei cristiani della piccola comunità di Roma come capro espiatorio, facendo ricadere su di essi la colpa dell’incendio.12
Probabilmente il popolo e i senatori avevano visto una sorta di arroganza nel desiderio di costruzione della Domus Aurea, tanto più che Nerone aveva espropriato il suolo pubblico, privatizzandolo: atteggiamento completamente opposto a quello tenuto da Augusto e Agrippa nel Campo Marzio.13
Inoltre le crudeli esecuzioni a cui erano sottoposti i cristiani suscitarono compassione nell'opinione pubblica e la collera di quest’ultima diventò quasi incontrollabile quando si seppe che il focolaio del secondo incendio era stato localizzato proprio in un giardino di Tigellino.14 Nonostante dunque Nerone avesse accusato la comunità cristiana, continuò a circolare la voce che fosse stato proprio lui ad appiccare il fuoco allo scopo di impadronirsi di certi terreni che gli servivano per la costruzione della sua nuova residenza.

La Domus infatti andava ad inglobare quartieri popolari, ma anche edifici pubblici in via di costruzione, come il tempio di Claudio, iniziato nel 54 su richiesta di Agrippina, del quale vennero riutilizzate la sostruzioni del temenos per un grande ninfeo che doveva chiudere una delle prospettive della Domus. Infatti autori che scrivono sotto i successivi imperatori sembrano dare per certa la colpevolezza dell’Imperatore. Dure sono le parole di Svetonio, che scrive: «Non risparmiò né il popolo né le mura della sua patria».15 Tacito ci lascia intendere la sua posizione affermando che «delle rovine della patria Nerone si servì per costruirsi un palazzo».16 Anche Dione Cassio, nella sua Storia di Roma, mostra di credere a tali accuse. Il suo resoconto dell’incendio inizia proprio riferendo come da lungo tempo Nerone accarezzasse l’idea di veder perire una città tra le fiamme durante la sua vita, come Priamo di Troia, che egli riteneva estremamente felice per aver visto la sua patria e il suo potere abbattuti contemporaneamente.17 Al contrario, storici e scrittori come Cluvio Rufo, Flavio Giuseppe, Marziale –autori fortemente ostili all’Imperatore- ne sostengono l’innocenza.18 Sempre Tacito racconta di come si comportò Nerone di fronte ad una simile devastazione: per prestare soccorso al popolo rimasto senza dimora, l’Imperatore aprì il Campo Marzio e i giardini di Agrippa, fece costruire baracche provvisorie, fece arrivare da Ostia e città limitrofe beni di prima necessità e abbassò il prezzo del frumento.19
Della sua Storia di Roma, scritta agli inizi del III secolo d.C. , i libri che trattano del regno di Nerone ci sono giunti soltanto in un’epitome del monaco bizantino Giovanni Xiphilinus nell’XI secolo. Il resoconto dell’incendio è trattato nel libro LXII, 16-18.

Roma aveva subito un altro devastante incendio, quello del 19 luglio 390 a.C. ad opera dei Galli Senoni di Brenno. Anche allora si dovette ricostruire la città, ma quella volta non si adottò alcun piano regolatore, al contrario di quel che accadde dopo l’incendio del 64 d.C. Nerone infatti capì immediatamente il vantaggio che poteva trarre da una simile devastazione, scorgendo la possibilità di rimodellare la città, come un dinasta ellenistico: durante il suo regno sottopose così la città ad uno degli sconvolgimenti urbanistici più radicali della sua storia.
I provvedimenti presi da Nerone erano di natura essenzialmente pratica, dettati dalla ricerca di una maggiore sicurezza: «Quello che rimaneva della città, all’infuori del palazzo, fu riedificato non come era avvenuto dopo l’incendio dei Galli, senza un piano regolatore, con le case disposte qua e là a caso, senz’ordine alcuno, ma fu ben misurato il tracciato dei rioni dove furono fatte larghe strade, fu limitata l’altezza degli edifici, furono aperti cortili, a cui si aggiunsero portici».20 Inoltre prescrisse che gli edifici dovessero essere, in alcune loro parti, privi di travi di legno, bensì costruiti in una pietra refrattario al fuoco, chiamata pietra di Gabi o di Albano (e a questo proposito fa stanziare aiuti finanziari).21 Volle che davanti alle case e agli isolati ci fossero dei portici sormontati da terrazzi, da dove si potevano combattere gli incendi.22 Un altro provvedimento fu l’istituzione di un servizio di soccorso pubblico in caso d’incendio.23 E per prevenirne di nuovi istituì dei sorveglianti sull’acqua, affinché si prendessero cura che scorresse in grandi quantità e in più luoghi.24 Prescrisse inoltre che ciascuno dovesse tenere quanto potesse servire a spegnere il fuoco. Il sistema degli acquedotti venne rafforzato: si aggiunse così un ramo nuovo all’Aqua Claudia, l’acquedotto che incanalava l’acqua verso il Celio. Nella Forma Urbis Romae severiana25 si conservano poche tracce di questa organizzazione razionale della città. L’unica testimonianza archeologica è rappresentata dal tratto orientale della Via Sacra compreso tra la casa delle Vestali ed il clivus Palatinus: grandi isolati quadrangolari (insulae), di cui restano solo le fondamenta, si affacciano su entrambi i lati della strada, la cui larghezza è stata notevolmente ampliata.26 Tra le altre opere volute da Nerone ricordiamo: il tempio della Fortuna Seiani –situato all’interno della sua nuova residenza –la ricostruzione della Sacra via e la Porticus Miliaria, la ricostruzione del Circo Massimo, il nuovo anfiteatro di legno, la casa delle Vestali, il Campo neroniano, l’acquedotto Celimontano, il ponte neroniano, la pavimentazione del Clivio Palatino, il Bagno di Tigellino e il prolungamento delle condutture dell’acquedotto dell’Aqua Marcia sino all’Aventino.27 «Roma si trasformava in un cantiere nel quale si lavorava da ogni parte e in ogni forma di attività umana, come accade in tempi di grande ripresa edilizia. Da ogni parte dell’impero si richiedevano, merci, tecnici, lavoratori».28 Agli occhi di Nerone la ricostruire della città di Roma doveva apparire come una rinascita, una rifondazione simbolica, segno di una nuova “età dell’oro”. Il palazzo imperiale, dimora del dio Sole, rappresentava il punto di partenza e il centro del nuovo sistema urbano. Tacito, infatti, ci riferisce di una voce secondo cui «sembrava che Nerone ricercasse la gloria di fondare una città nuova e di darle il suo nome».29 Anche se dal punto di vista strettamente materiale non veniva rinnovata completamente, sul piano politico ed ideologico Roma doveva diventare una nova urbs, dove si ergeva il palazzo del Sole, che la illuminava coi suoi raggi di astro benefico.30 E. Cizek riferisce di un affresco del mercato di Pompei, realizzato poco dopo l’incendio, sembra così rappresentare l’Imperatore come un principe su uno sfondo di teatro, con in mano un trofeo, seduto su un cumulo di armi e coronato dalla Vittoria: «allusione, senza dubbio –secondo lo storico - all’identificazione di Nerone con Romolo».31

Il Grande Incendio e la Nuova Roma di Nerone, su PeriodicoDaily

Note:
1.TAC., XV, 38 
2. Le regiones amministrative in cui Augusto aveva suddiviso la città. 
3. CIZEK 1986, p. 277 
4.Ibidem
5. TORELLI 2007, p.215
6. PAOLUCCI 2011, p. 23
7. PAOLUCCI 2011, p. 27. Scrive inoltre che recenti indagini hanno confermato che l’immenso lago artificiale voluto da Nerone per la domus Aurea non fu scavato, ma creato mantenendo per il fondo la quota originaria e innalzando progressivamente i bordi con le macerie dei quartieri circostanti.
8. TAC., XV, 38
9. Ivi, 39
10. J. Malitz ritiene sia possibile che gli storici abbiano deliberatamente esagerato il suo ritardo e che, a dire il vero, al suo arrivo prestò energicamente aiuto alle persone minacciate dalle fiamme e a coloro che avevano già perso la casa (MALITZ 2003, p. 73)
11. TAC., XV, 39
12. Ivi, 44
13. TORELLI 2007, p. 216
14. MALITZ 2003, p. 73
15. SUET., VI, 38
16. TAC., XV, 42
17. DIO. Della sua Storia di Roma, scritta agli inizi del III secolo d.C. , i libri che trattano del regno di Nerone ci sono giunti soltanto in un’epitome del monaco bizantino Giovanni Xiphilinus nell’XI secolo. Il resoconto dell’incendio è trattato nel libro LXII, 16-18.
18. CIZEK 1986, p. 77
19. TAC., XV, 39
20. TAC., XV, 43
21. Ibidem
22. SUET., VI, 16
23. Già Augusto aveva organizzato un regolare servizio di pompieri (vigiles), ma questo provvedimento non fu mai realmente sufficiente per fronteggiare gli incendi più gravi.
24. Poiché accadeva che venisse deviata per abuso di privati.
25. Pianta della città di Roma su lastre di marmo, realizzata tra il 203 e il 211 e collocata nel Templum Pacis.
26. TORELLI 2007, p. 217
27. LEVI 1995, p. 218
28. Ibidem
29. TAC., XV, 40
30. CIZEK 1986, p. 281
31. Ibidem

Bibliografia:
PUBLIO CORNELIO TACITO, Annales
E. CIZEK, La Roma di Nerone, Milano, 1986
P. GROS - M. TORELLI,  Storia dell’urbanistica - il mondo romano, Bari, 2007
F. PAOLUCCI, Un artista al potere – i mille volti di Nerone in Archeologia Viva (Settembre/Ottobre 2011), pp. 16 – 27
J. MALITZ, Nerone, Bologna 2003
CASSIO DIONE, Storia di Roma
GAIO SVETONIO TRANQUILLO, De vita duodecim Caesarum
M. A. LEVI, Nerone e i suoi tempi, Milano, 1995