Uno degli autori di riferimento per l’incendio è Tacito. Questo storico ci informa sulla sua estensione, scrivendo che solo quattro dei quartieri di Roma 2 erano rimasti intatti. Si salvarono infatti Porta Capena (I), Esquilino (V), Alta Semita (VI) o Via Lata (VII) e Trans Tiberim(XIV). Tre Regioni (l’XI, Circus Maximus, la X, Palatium, e la III Isis et Serapis) furono distrutte completamente 3 e altre sette danneggiate parzialmente. Fra i monumenti pubblici subirono grandissimi danni i templi di Giove e Apollo sul Palatino, quello di Vesta, la Biblioteca Palatina, il teatro di Marcello. Subirono ingenti danni anche la Domus Tiberiana e la stessa dimora di Nerone, la Domus Transitoria.4 Secondo quanto riportatoci da Torelli 5 sarebbero stati 200.000 i senza tetto e 10-12.000 le insulae distrutte: cifre che seppur approssimative danno un’idea dell’enormità del disastro. La serie di are che fu eretta ai tempi di Domiziano (81-96) lungo i limiti raggiunti dalle fiamme, permettono di averne un’idea precisa.
6
I danni di questo devastante incendio
riemergono con evidenza dagli scavi. Le ricerche condotte nelle
vicinanze dell’Arco di Costantino hanno riportato in luce i resti
dell’antico santuario delle Curiae Veteres, cancellato dalle
fiamme. Le gradinate calcinate dalle altissime temperature sono
state trovate ancora sepolte dal crollo degli edifici circostanti,
insieme a resti di travi carbonizzate e metalli fusi.7
Nell’immaginario collettivo Nerone
viene spesso ricordato come l’autore dell’incendio: l’accusa
nasce già in antico. Nella sua descrizione Tacito si preoccupa di
riportarci le opinioni che circolavano a quel tempo sulla causa di un
tale disastroso evento. Così scrive nei suoi Annales: «Seguì un
disastro, non si sa dovuto al caso, oppure alla perfidia di Nerone,
poiché gli storici interpretano la cosa nell’uno e nell’altro
modo…».8 Lo storico ci informa che allo scoppio dell’incendio
Nerone si trovava ad Anzio e non fece ritorno a Roma se non quando il
fuoco si avvicinava alla sua casa - che sorgeva in continuazione del
Palatino e dei giardini di Mecenate e che «non si poté impedire
al fuoco di avvolgere il palazzo, la casa e tutti i luoghi
circostanti» 9 La casa a cui fa riferimento è la Domus
Transitoria.10 Per quanto riguarda le accuse all’Imperatore Tacito
riporta la notizia che a Roma correva voce che proprio mentre la
città bruciava, Nerone fosse salito sul palcoscenico del suo palazzo
e avesse cantato la distruzione di Troia.11
E che per stornare le accuse dalla sua persona non bastarono contributi e pratiche religiose propiziatorie, ma arrivò a servirsi dei cristiani della piccola comunità di Roma come capro espiatorio, facendo ricadere su di essi la colpa dell’incendio.12
Probabilmente il popolo e i senatori avevano visto una sorta di arroganza nel desiderio di costruzione della Domus Aurea, tanto più che Nerone aveva espropriato il suolo pubblico, privatizzandolo: atteggiamento completamente opposto a quello tenuto da Augusto e Agrippa nel Campo Marzio.13
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Dal film "Quo vadis" (1951) |
E che per stornare le accuse dalla sua persona non bastarono contributi e pratiche religiose propiziatorie, ma arrivò a servirsi dei cristiani della piccola comunità di Roma come capro espiatorio, facendo ricadere su di essi la colpa dell’incendio.12
Probabilmente il popolo e i senatori avevano visto una sorta di arroganza nel desiderio di costruzione della Domus Aurea, tanto più che Nerone aveva espropriato il suolo pubblico, privatizzandolo: atteggiamento completamente opposto a quello tenuto da Augusto e Agrippa nel Campo Marzio.13
Inoltre le crudeli esecuzioni a cui
erano sottoposti i cristiani suscitarono compassione nell'opinione
pubblica e la collera di quest’ultima diventò quasi
incontrollabile quando si seppe che il focolaio del secondo incendio
era stato localizzato proprio in un giardino di Tigellino.14
Nonostante dunque Nerone avesse accusato la comunità cristiana,
continuò a circolare la voce che fosse stato proprio lui ad
appiccare il fuoco allo scopo di impadronirsi di certi terreni che
gli servivano per la costruzione della sua nuova residenza.
La Domus infatti andava ad inglobare quartieri popolari, ma anche edifici pubblici in via di costruzione, come il tempio di Claudio, iniziato nel 54 su richiesta di Agrippina, del quale vennero riutilizzate la sostruzioni del temenos per un grande ninfeo che doveva chiudere una delle prospettive della Domus. Infatti autori che scrivono sotto i successivi imperatori sembrano dare per certa la colpevolezza dell’Imperatore. Dure sono le parole di Svetonio, che scrive: «Non risparmiò né il popolo né le mura della sua patria».15 Tacito ci lascia intendere la sua posizione affermando che «delle rovine della patria Nerone si servì per costruirsi un palazzo».16 Anche Dione Cassio, nella sua Storia di Roma, mostra di credere a tali accuse. Il suo resoconto dell’incendio inizia proprio riferendo come da lungo tempo Nerone accarezzasse l’idea di veder perire una città tra le fiamme durante la sua vita, come Priamo di Troia, che egli riteneva estremamente felice per aver visto la sua patria e il suo potere abbattuti contemporaneamente.17 Al contrario, storici e scrittori come Cluvio Rufo, Flavio Giuseppe, Marziale –autori fortemente ostili all’Imperatore- ne sostengono l’innocenza.18 Sempre Tacito racconta di come si comportò Nerone di fronte ad una simile devastazione: per prestare soccorso al popolo rimasto senza dimora, l’Imperatore aprì il Campo Marzio e i giardini di Agrippa, fece costruire baracche provvisorie, fece arrivare da Ostia e città limitrofe beni di prima necessità e abbassò il prezzo del frumento.19
La Domus infatti andava ad inglobare quartieri popolari, ma anche edifici pubblici in via di costruzione, come il tempio di Claudio, iniziato nel 54 su richiesta di Agrippina, del quale vennero riutilizzate la sostruzioni del temenos per un grande ninfeo che doveva chiudere una delle prospettive della Domus. Infatti autori che scrivono sotto i successivi imperatori sembrano dare per certa la colpevolezza dell’Imperatore. Dure sono le parole di Svetonio, che scrive: «Non risparmiò né il popolo né le mura della sua patria».15 Tacito ci lascia intendere la sua posizione affermando che «delle rovine della patria Nerone si servì per costruirsi un palazzo».16 Anche Dione Cassio, nella sua Storia di Roma, mostra di credere a tali accuse. Il suo resoconto dell’incendio inizia proprio riferendo come da lungo tempo Nerone accarezzasse l’idea di veder perire una città tra le fiamme durante la sua vita, come Priamo di Troia, che egli riteneva estremamente felice per aver visto la sua patria e il suo potere abbattuti contemporaneamente.17 Al contrario, storici e scrittori come Cluvio Rufo, Flavio Giuseppe, Marziale –autori fortemente ostili all’Imperatore- ne sostengono l’innocenza.18 Sempre Tacito racconta di come si comportò Nerone di fronte ad una simile devastazione: per prestare soccorso al popolo rimasto senza dimora, l’Imperatore aprì il Campo Marzio e i giardini di Agrippa, fece costruire baracche provvisorie, fece arrivare da Ostia e città limitrofe beni di prima necessità e abbassò il prezzo del frumento.19
Della sua Storia di Roma, scritta agli
inizi del III secolo d.C. , i libri che trattano del regno di Nerone
ci sono giunti soltanto in un’epitome del monaco bizantino Giovanni
Xiphilinus nell’XI secolo. Il resoconto dell’incendio è trattato
nel libro LXII, 16-18.
Roma aveva subito un altro devastante incendio, quello del 19 luglio 390 a.C. ad opera dei Galli Senoni di Brenno. Anche allora si dovette ricostruire la città, ma quella volta non si adottò alcun piano regolatore, al contrario di quel che accadde dopo l’incendio del 64 d.C. Nerone infatti capì immediatamente il vantaggio che poteva trarre da una simile devastazione, scorgendo la possibilità di rimodellare la città, come un dinasta ellenistico: durante il suo regno sottopose così la città ad uno degli sconvolgimenti urbanistici più radicali della sua storia.
I provvedimenti presi da Nerone erano
di natura essenzialmente pratica, dettati dalla ricerca di una
maggiore sicurezza: «Quello che rimaneva della città, all’infuori
del palazzo, fu riedificato non come era avvenuto dopo l’incendio
dei Galli, senza un piano regolatore, con le case disposte qua e là
a caso, senz’ordine alcuno, ma fu ben misurato il tracciato dei
rioni dove furono fatte larghe strade, fu limitata l’altezza degli
edifici, furono aperti cortili, a cui si aggiunsero portici».20 Inoltre prescrisse che gli edifici dovessero essere, in alcune loro
parti, privi di travi di legno, bensì costruiti in una pietra
refrattario al fuoco, chiamata pietra di Gabi o di Albano (e a questo
proposito fa stanziare aiuti finanziari).21 Volle che davanti alle
case e agli isolati ci fossero dei portici sormontati da terrazzi, da
dove si potevano combattere gli incendi.22 Un altro provvedimento fu
l’istituzione di un servizio di soccorso pubblico in caso
d’incendio.23 E per prevenirne di nuovi istituì dei sorveglianti
sull’acqua, affinché si prendessero cura che scorresse in grandi
quantità e in più luoghi.24 Prescrisse inoltre che ciascuno dovesse
tenere quanto potesse servire a spegnere il fuoco. Il sistema degli
acquedotti venne rafforzato: si aggiunse così un ramo nuovo all’Aqua
Claudia, l’acquedotto che incanalava l’acqua verso il Celio.
Nella Forma Urbis Romae severiana25 si conservano poche tracce di
questa organizzazione razionale della città. L’unica
testimonianza archeologica è rappresentata dal tratto orientale
della Via Sacra compreso tra la casa delle Vestali ed il clivus
Palatinus: grandi isolati quadrangolari (insulae), di cui restano solo le
fondamenta, si affacciano su entrambi i lati della strada, la cui
larghezza è stata notevolmente ampliata.26 Tra le altre opere
volute da Nerone ricordiamo: il tempio della Fortuna Seiani –situato
all’interno della sua nuova residenza –la ricostruzione della
Sacra via e la Porticus Miliaria, la ricostruzione del Circo Massimo,
il nuovo anfiteatro di legno, la casa delle Vestali, il Campo
neroniano, l’acquedotto Celimontano, il ponte neroniano, la
pavimentazione del Clivio Palatino, il Bagno di Tigellino e il
prolungamento delle condutture dell’acquedotto dell’Aqua Marcia
sino all’Aventino.27 «Roma si trasformava in un cantiere nel
quale si lavorava da ogni parte e in ogni forma di attività umana,
come accade in tempi di grande ripresa edilizia. Da ogni parte
dell’impero si richiedevano, merci, tecnici, lavoratori».28 Agli
occhi di Nerone la ricostruire della città di Roma doveva apparire
come una rinascita, una rifondazione simbolica, segno di una nuova
“età dell’oro”. Il palazzo imperiale, dimora del dio Sole,
rappresentava il punto di partenza e il centro del nuovo sistema
urbano. Tacito, infatti, ci riferisce di una voce secondo cui
«sembrava che Nerone ricercasse la gloria di fondare una città
nuova e di darle il suo nome».29 Anche se dal punto di vista
strettamente materiale non veniva rinnovata completamente, sul piano
politico ed ideologico Roma doveva diventare una nova urbs, dove si
ergeva il palazzo del Sole, che la illuminava coi suoi raggi di astro
benefico.30 E. Cizek riferisce di un affresco del mercato di Pompei,
realizzato poco dopo l’incendio, sembra così rappresentare
l’Imperatore come un principe su uno sfondo di teatro, con in mano
un trofeo, seduto su un cumulo di armi e coronato dalla Vittoria:
«allusione, senza dubbio –secondo lo storico - all’identificazione
di Nerone con Romolo».31
Il Grande Incendio e la Nuova Roma di Nerone, su PeriodicoDaily
Il Grande Incendio e la Nuova Roma di Nerone, su PeriodicoDaily
Note:
1.TAC., XV, 38
2. Le regiones amministrative in cui Augusto aveva suddiviso la città.
3. CIZEK 1986, p. 277
4.Ibidem
5. TORELLI 2007, p.215
6. PAOLUCCI 2011, p. 23
7. PAOLUCCI 2011, p. 27. Scrive inoltre che recenti indagini hanno confermato che l’immenso lago artificiale voluto da Nerone per la domus Aurea non fu scavato, ma creato mantenendo per il fondo la quota originaria e innalzando progressivamente i bordi con le macerie dei quartieri circostanti.
8. TAC., XV, 38
9. Ivi, 39
10. J. Malitz ritiene sia possibile che gli storici abbiano deliberatamente esagerato il suo ritardo e che, a dire il vero, al suo arrivo prestò energicamente aiuto alle persone minacciate dalle fiamme e a coloro che avevano già perso la casa (MALITZ 2003, p. 73)
11. TAC., XV, 39
12. Ivi, 44
13. TORELLI 2007, p. 216
14. MALITZ 2003, p. 73
15. SUET., VI, 38
16. TAC., XV, 42
17. DIO. Della sua Storia di Roma, scritta agli inizi del III secolo d.C. , i libri che trattano del regno di Nerone ci sono giunti soltanto in un’epitome del monaco bizantino Giovanni Xiphilinus nell’XI secolo. Il resoconto dell’incendio è trattato nel libro LXII, 16-18.
18. CIZEK 1986, p. 77
19. TAC., XV, 39
20. TAC., XV, 43
21. Ibidem
22. SUET., VI, 16
23. Già Augusto aveva organizzato un regolare servizio di pompieri (vigiles), ma questo provvedimento non fu mai realmente sufficiente per fronteggiare gli incendi più gravi.
24. Poiché accadeva che venisse deviata per abuso di privati.
25. Pianta della città di Roma su lastre di marmo, realizzata tra il 203 e il 211 e collocata nel Templum Pacis.
26. TORELLI 2007, p. 217
27. LEVI 1995, p. 218
28. Ibidem
29. TAC., XV, 40
30. CIZEK 1986, p. 281
31. Ibidem
Bibliografia:
PUBLIO CORNELIO TACITO, Annales
E. CIZEK, La Roma di Nerone, Milano, 1986
P. GROS - M. TORELLI, Storia dell’urbanistica - il mondo romano, Bari, 2007
F. PAOLUCCI, Un artista al potere – i mille volti di Nerone in Archeologia Viva (Settembre/Ottobre 2011), pp. 16 – 27
J. MALITZ, Nerone, Bologna 2003
CASSIO DIONE, Storia di Roma
GAIO SVETONIO TRANQUILLO, De vita duodecim Caesarum
M. A. LEVI, Nerone e i suoi tempi, Milano, 1995