Servile
supplicium, un supplizio terribile ed infamante riservato
inizialmente ai soli schiavi, così era detta la crocefissione.
La
caratterizzazione della croce come servile supplicium trova conferma
nelle fonti più disparate. Dal De Bello Hispanico sappiamo che
Cesare in Spagna fece crocifiggere tre schiavi. Da
Giuseppe Flavio sappiamo di una donna sottoposta al terribile
supplizio nonostante il suo sesso, presumibilmente perché ex
schiava. Sappiamo
di quel padrone che, avendo incaricato uno schiavo di servire a
tavola, lo fa crocifiggere perché ha mangiucchiato un avanzo di
pesce o bevuto un sorso di salsa ancora tiepida. Celebre
è la rivolta degli schiavi guidata da Spartaco, che vide 6000
schiavi catturati da Crasso e crocefissi sulla strada tra Capua e
Roma.
La
croce entra a far parte del panorama dei supplizi di Stato solo a
partire dall'età imperiale, quando il supplizio una volta servile
venne riservato anche agli uomini liberi, seppur -tranne rari casi-
di condizione sociale inferiore (humiliores).
La
morte sulla croce di un uomo libero, quando eccezionalmente veniva
stabilita, era un fatto che provocava nei romani sconcerto e
sgomento.
Le
diverse forme della croce
Questo
strumento di morte poteva essere costruito in vari modi, ma era
sempre composta di due legni separati che venivano uniti, assumendo
la forma di croce, solo nel momento finale dell'esecuzione.
La
parte verticale -lo stipes – era un palo di legno infisso nella terra abitualmente -anche se non necessariamente - in modo permanente.
Il
patibulum era una trave separata e autonoma, che giungeva sul luogo
del supplizio insieme al condannato, caricata sulle sue spalle e avvinta ai polsi con delle corde.
A quel punto il patibulum veniva congiunto allo stipes.
A
volte nel patibulum veniva predisposto un incavo destinato ad essere
poggiato in un risalto del termine dello stipes, così che la croce
che ne risultava, detta crux commissa, aveva forma di T.
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crux commissa |
Altre volte,
invece, l'incavo veniva predisposto nello stipes, così che la parte
terminale di questa, superando il punto di congiunzione con il
patibulum, formava una croce a quattro braccia, detta crux immissa o
capitata.
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crux immissa |
Di
regola gli stipites erano poco più alti di un uomo, di modo che i
piedi del condannato si venivano a trovare a pochi centimetri dal
suolo, esponendolo ai morsi dei cani famelici, attratti dall'odore
del sangue, i quali ne straziavano le carni (oltre alle beccate degli
avvoltoi).
La
croce che andava a formarsi in questo caso era detta humiles.
Condannati
al pubblico ludibrio
Quella
su cui era stato crocefisso Cristo si trattava di un altro tipo di
croce, la cui tipologia dava maggior deterrente all'esecuzione: in essa gli
stipites (detti in questo caso sublimes) erano talmente alti che il
condannato, con i piedi a circa un metro da terra, veniva visto
agonizzare sia da coloro che stavano ai piedi della croce, sia da
coloro che se ne stavano lontano. Inoltre i condannati venivano appesi alla croce completamente nudi.
Gesù era legato a una croce così alta che quando, ormai morente,
disse "Ho sete", il soldato che bagnò le sue labbra con la
posca1 che le guardie avevano con sé, fu costretto a farlo con una spugna fissata in cima a una canna.
Inchiodati al legno
Sappiamo
che il condannato veniva appeso alla croce con dei chiodi, ci danno
testimonianza di questo autori come Plauto che nella Mostellaria
scrive che lo schiavo Tranione promette un talento a chi riuscirà a
scendere dalla croce, "ma a condizione che le sue mani e i suoi
piedi siano inchiodati due volte" o di Seneca che paragona i
desideri (cupiditates) a delle "croci, alle quali ciascuno di noi
si inchioda con le sue mani", ma anche un'iscrizione dei primi
anni del principato, pubblicata nel 1967, contenente alcune regole sui
possibili modi di mettere in croce gli schiavi delinquenti, qui alle
righe 11-14 troviamo riportati gli strumenti materiali
all'esecuzione: croce, chiodi, pece e torce.
Anche se
l'iconografia del Cristo lo mostra nel terribile supplizio con i chiodi
piantati nel mezzo del metacarpo, sappiamo che questi non venivano
infissi nella mano, come peraltro si vede anche dalla Sindone.
Un chirurgo dell'ospedale St. Joseph di Parigi, Pierre Barbet coi suoi esperimenti degli anni 30 su cadaveri ha mostrato di come le braccia dovessero essere inchiodate al patibulum con il chiodo infisso nel mezzo del carpo, tra quattro ossicini(semilunare, piramidale, capitatoe uncinato), in quanto le mani non reggevano il peso del corpo, ma si laceravano trascinando con sé il cadavere nella caduta.
Secondo il dott. Barbet il chiodo, inserito in questo "spazio di Destot", veniva saldamente bloccato dalle ossa circostanti, nonché dal legamento anulare anteriore, e costituiva un punto d'appoggio solidissimo.
Negli anni 90 il patologo e antropologo forense americano Frederick Zugibe, autore di altri esperimenti, individuò un altro punto dove avrebbero potuto essere conficcati i chiodi: per Zugibe la parte più alta del palmo sarebbe stata in grado di sostenere il peso del corpo senza forature ossee, con uscita dal retro del polso come si vede dalla Sindone.
La causa della morte
Fissate
al patibulum con i chiodi, le braccia sollevate sopportano
tutto il peso del corpo, ed esercitano una considerevole trazione che
blocca i movimenti del torace e del diaframma. Sentendosi soffocare,
per poter respirare un po' meglio, il crocifisso appoggia il corpo
sul chiodo dei piedi, e, soltanto in questo modo, può permettersi
una certa respirazione. Ma, ben presto, sfinito, ricade.
Così sospeso sulla croce, il condannato andava incontro ad una morte atroce: la vita poteva finire per asfissia, infarto, acidosi, embolia polmonare, shock ipovolemico.
In un articolo dal titolo L'esame medico di quell'uomo primo martire 2, il Dott. Nicola Partipilo, ascrive la morte di Gesù a una serie di cause:
"C’è la lenta
asfissia determinata dall’iperdistensione del torace e dunque
l’insufficienza respiratoria. C’è l’accumulo di sangue negli
arti inferiori (a causa della posizione appesa) e quindi
l’ipovolemia, perdita di volume del sangue, e lo shock ipovolemico,
che conduce alla sincope con arresto cardiaco. Di qui lo scompenso
cardio-respiratorio, di qui l’asistolia cardiaca: la quantità di
sangue che giunge al cuore è talmente insufficiente da provocare un
infarto miocardico.
"
Tranne i casi in cui la morte veniva accelerata 3, l'atroce supplizio era concepito per durare ore o giorni, a seconda delle condizioni precedenti e della robustezza fisica del condannato. I Vangeli ci raccontano che Gesù muore dopo alcune ore, stremato dalle percosse, dalla flagellazione, dalla coronazione di spine che lo avevano indebolito in modo estremo.
Note:
1. Mistura di acqua e aceto
2. Per motivi d'ordine pubblico, per interventi d'amici del condannato, per usanze locali. Si provocava la morte in due modi: col colpo di lancia al cuore o col crurifragium, cioè la rottura delle gambe, che privava il condannato d'ogni punto d'appoggio con conseguente soffocamento.
3. Pubblicato sulla rivista Vivere (marzo-aprile 2015)
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