domenica 24 marzo 2024

La crocefissione, un supplizio infamante

Servile supplicium, un supplizio terribile ed infamante riservato inizialmente ai soli schiavi, così era detta la crocefissione.

La caratterizzazione della croce come servile supplicium trova conferma nelle fonti più disparate. Dal De Bello Hispanico sappiamo che Cesare in Spagna fece crocifiggere tre schiavi. Da Giuseppe Flavio sappiamo di una donna sottoposta al terribile supplizio nonostante il suo sesso, presumibilmente perché ex schiava. Sappiamo di quel padrone che, avendo incaricato uno schiavo di servire a tavola, lo fa crocifiggere perché ha mangiucchiato un avanzo di pesce o bevuto un sorso di salsa ancora tiepida. Celebre è la rivolta degli schiavi guidata da Spartaco, che vide 6000 schiavi catturati da Crasso e crocefissi sulla strada tra Capua e Roma.

La croce entra a far parte del panorama dei supplizi di Stato solo a partire dall'età imperiale, quando il supplizio una volta servile venne riservato anche agli uomini liberi, seppur -tranne rari casi- di condizione sociale inferiore (humiliores).

La morte sulla croce di un uomo libero, quando eccezionalmente veniva stabilita, era un fatto che provocava nei romani sconcerto e sgomento.


Le diverse forme della croce

Questo strumento di morte poteva essere costruito in vari modi, ma era sempre composta di due legni separati che venivano uniti, assumendo la forma di croce, solo nel momento finale dell'esecuzione.

La parte verticale -lo stipes – era un palo di legno infisso nella terra abitualmente -anche se non necessariamente - in modo permanente. 

Il patibulum era una trave separata e autonoma, che giungeva sul luogo del supplizio insieme al condannato, caricata sulle sue spalle e avvinta ai polsi con delle corde.



A quel punto il patibulum veniva  congiunto allo stipes


A volte nel patibulum veniva predisposto un incavo destinato ad essere poggiato in un risalto del termine dello stipes, così che la croce che ne risultava, detta crux commissa, aveva forma di T. 

  crux commissa


Altre volte, invece, l'incavo veniva predisposto nello stipes, così che la parte terminale di questa, superando il punto di congiunzione con il patibulum, formava una croce a quattro braccia, detta crux immissa o capitata.

crux immissa


Di regola gli stipites erano poco più alti di un uomo, di modo che i piedi del condannato si venivano a trovare a pochi centimetri dal suolo, esponendolo ai morsi dei cani famelici, attratti dall'odore del sangue, i quali ne straziavano le carni (oltre alle beccate degli avvoltoi).

La croce che andava a formarsi in questo caso era detta humiles.


Condannati al pubblico ludibrio

Quella su cui era stato crocefisso Cristo si trattava di un altro tipo di croce, la cui tipologia dava maggior deterrente all'esecuzione: in essa gli stipites (detti in questo caso sublimes) erano talmente alti che il condannato, con i piedi a circa un metro da terra, veniva visto agonizzare sia da coloro che stavano ai piedi della croce, sia da coloro che se ne stavano lontano. Inoltre i condannati venivano appesi alla croce completamente nudi. 

Gesù era legato a una croce così alta che quando, ormai morente, disse "Ho sete", il soldato che bagnò le sue labbra con la posca1 che le guardie avevano con sé, fu costretto a farlo con una spugna fissata in cima a una canna.





Inchiodati al legno


Sappiamo che il condannato veniva appeso alla croce con dei chiodi, ci danno testimonianza di questo autori come Plauto che nella Mostellaria scrive che lo schiavo Tranione promette un talento a chi riuscirà a scendere dalla croce, "ma a condizione che le sue mani e i suoi piedi siano inchiodati due volte" o di Seneca che paragona i desideri (cupiditates) a delle "croci, alle quali ciascuno di noi si inchioda con le sue mani", ma anche un'iscrizione dei primi anni del principato, pubblicata nel 1967, contenente alcune regole sui possibili modi di mettere in croce gli schiavi delinquenti, qui alle righe 11-14 troviamo riportati gli strumenti materiali all'esecuzione: croce, chiodi, pece e torce. 

Anche se l'iconografia del Cristo lo mostra nel terribile supplizio con i chiodi piantati nel mezzo del metacarpo, sappiamo che questi non venivano infissi nella mano, come peraltro si vede anche dalla Sindone.


Un chirurgo dell'ospedale St. Joseph di Parigi, Pierre Barbet coi suoi esperimenti degli anni 30 su cadaveri ha mostrato di come le braccia dovessero essere inchiodate al patibulum con il chiodo infisso nel mezzo del carpo, tra quattro ossicini(semilunarepiramidalecapitatouncinato), in quanto le mani non reggevano il peso del corpo, ma si laceravano trascinando con sé il cadavere nella caduta. 



Secondo il dott. Barbet il chiodo, inserito in questo "spazio di Destot", veniva saldamente bloccato dalle ossa circostanti, nonché dal legamento anulare anteriore, e costituiva un punto d'appoggio solidissimo. 




Negli anni 90 il patologo e antropologo forense americano Frederick Zugibe, autore di altri esperimenti, individuò un altro punto dove avrebbero potuto essere conficcati i chiodi:  per Zugibe la parte più alta del palmo sarebbe stata in grado di sostenere il peso del corpo senza forature ossee, con uscita dal retro del polso come si vede dalla Sindone. 

La causa della morte

Fissate al patibulum con i chiodi, le braccia sollevate sopportano tutto il peso del corpo, ed esercitano una considerevole trazione che blocca i movimenti del torace e del diaframma. Sentendosi soffocare, per poter respirare un po' meglio, il crocifisso appoggia il corpo sul chiodo dei piedi, e, soltanto in questo modo, può permettersi una certa respirazione. Ma, ben presto, sfinito, ricade.

Così sospeso sulla croce, il condannato andava incontro ad una morte atroce: la vita poteva finire per asfissia, infarto, acidosi, embolia polmonare, shock ipovolemico. 

In un articolo dal titolo L'esame medico di quell'uomo primo martire 2, il Dott. Nicola Partipilo, ascrive la morte di Gesù a una serie di cause: 

"C’è la lenta asfissia determinata dall’iperdistensione del torace e dunque l’insufficienza respiratoria. C’è l’accumulo di sangue negli arti inferiori (a causa della posizione appesa) e quindi l’ipovolemia, perdita di volume del sangue, e lo shock ipovolemico, che conduce alla sincope con arresto cardiaco. Di qui lo scompenso cardio-respiratorio, di qui l’asistolia cardiaca: la quantità di sangue che giunge al cuore è talmente insufficiente da provocare un infarto miocardico. "



Tranne i casi in cui la morte veniva accelerata 3, l'atroce supplizio era concepito per durare ore o giorni, a seconda delle condizioni precedenti e della robustezza fisica del condannato. I Vangeli ci raccontano che Gesù muore dopo alcune ore, stremato dalle percosse, dalla flagellazione, dalla coronazione di spine che lo avevano indebolito in modo estremo. 








Note: 
1. Mistura di acqua e aceto
2. Per motivi d'ordine pubblico, per interventi d'amici del condannato, per usanze locali. Si provocava la morte in due modi: col colpo di lancia al cuore o col crurifragium, cioè la rottura delle gambe, che privava il condannato d'ogni punto d'appoggio con conseguente soffocamento.
3.  Pubblicato sulla rivista Vivere (marzo-aprile 2015)



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