domenica 28 ottobre 2018

L'"etrusca disciplina" - Parte I (I libri fulgurales)

Quello che possiamo dire della religione degli antichi etruschi si basa prevalentemente sulla tradizione indiretta di scrittori greci e latini, che ci offre però informazioni spesso incoerenti, succinte e lontane nel tempo. Sappiamo che quella che i romani chiamano "etrusca disciplina"  si fonda su una dottrina rivelata, codificata in raccolte e libri, i cui paradigmi fondamentali che vi si trovano sarebbero stati dettati da Tages, figlio di Genius e nipote di Giove, apparso nell'agro di Tarquinia. In realtà la "scienza" etrusca ha visto una lunga evoluzione e il riferimento a Tagete può dunque rappresentare il momento di codificazione del complesso di osservazioni empiriche effettuate da generazioni di indovini. Si palesa infatti una fase di particolare dinamismo in età ellenistica, sotto l'influsso delle speculazioni filosofiche e scientifiche greche e soprattutto delle dottrine astrologiche, divulgate dai discepoli delle scuole caldee. 
Nel I secolo a.C. gli scritti di disciplina etrusca conobbero conobbero una grande fortuna nell'ambiente degli antiquari romani: Tarquinius Priscus, Nigidius Figulus, Julius Aquila e Aulus Cecina tradussero i libri che avevano codificato la dottrina direttamente dall'etrusco, probabilmente deformandoli dall'ottica romana. E' comunque possibile individuare un nucleo sufficientemente solido di tratti genuini. 
La moderna tradizione degli studi ha ordinato la documentazione entro una struttura tripartita, fondandosi su due passi di Cicerone, che propongono una classificazione della letteratura religiosa degli Etruschi in libri fulgurales, haruspicini, rituales. 

La base ideologica della divinazione si basa sulla concezione in cui l'assetto della realtà è sottoposto a potenze divine, che ne garantiscono l'ordine: nulla di ciò che accade avviene dunque per caso e ogni evento acquista dunque una sua relativa prevedibilità. Per l'indagine, il cosmo può quindi essere suddiviso in settori. 
Scrive Plinio 1  "A tale scopo [per determinare la provenienza della folgore] gli Etruschi divisero il cielo in sedici parti(..) divisero poi ciascuna di queste regioni in quattro settori e dissero di sinistra le otto regioni orientali, di destra quelle occidentali". 
All'interno di questo cielo gli Etruschi individuavano i segni che gli dèi inviavano dalle loro sedi sparse nel cosmo.
Questa suddivisione di sedi divine è documentata anche nel celebre fegato di Piacenza, sul cui orlo, nella faccia concava, si trovano sedici cellette, rappresentazione della volta celeste, entro cui sono incisi nomi divini.





Tale documento materiale è stato rinvenuto da un contadino a Settima di Gossolengo, in provincia di Piacenza, nel 1877. Si tratta di un modello di fegato ovino -misura poco più di 12 centimetri- in bronzo, che poteva avere funzioni didattiche o essere attributo di una statua di aruspice.  

I libri fulgurales 

Un oggetto da cui i sacerdoti etruschi traevano auspici era il fulmine e la dottrina che ne concerne è contenuta nei cosiddetti libri libri fulgurales (dei fulmini). Tali testi non erano attribuiti a Tagete, bensì alla ninfa Vegonia. Seneca, che dipende dal volterrano Aulo Cecina, presenta in questo modo la dottrina dei fulmini etrusca:"La scienza relativa ai fulmini si articola in tre momenti: quello dell'analisi (quomodo exploremus), quello della interpreazione (quomodo interpretemus) e quello della espiazione (quomodo exoreremus). La prima parte spetta alla sistematica, la seconda alla divinazione, la terza alla propiziazione degli dèi". 
Il primo aspetto riguarda l'individuazione della provenienza del fulmine e la sua collocazione in una delle sedici regioni, che determina gli dèi folgoratori.
Le parti del cielo comprese tra nord ed est sono quelle di summa felicitas, al contrario quelle da ovest a nord sono le più infauste. A contare non è però solo la provenienza del fulmine, ma anche la determinazione della regione nella quale la folgore ritorna: secondo le teoria del reditus fulminis il fulmine rimbalza, sempre indietro, o lui medesimo o il suo spiritus e il segno più favorevole è quando scocca dalla prima regione e lì ritorna.
Altra teoria riguardo ai fulmini è quella del loro lancio ad opera degli dèi, detto manubia: nove erano gli dèi folgoratori, ma undici a manubia, poiché Giove poteva lanciare tre saette (per il romani, invece, erano due sole le divinità folgoratrici, Giove e Summano). 
Secondo tale teoria, gli effetti dei fulmini di Giove sono commisurati alla partecipazione o meno di altre divinità alla decisione del lancio. Il primo lancio Giove lo compie da solo ed è portatore di un messaggio favorevole. La seconda manubia, avvenuta dopo la consultazione dei dodici Di Consentes, porta ancora qualche vantaggio, ma non senza nuocere. La terza manubia è distruttiva, scagliata dopo consulto con i misteriosi Di Superiores et Involuti 2.
A Marte e Saturno vengono attribuite manubiae particolari: quelle del primo giungono non dal dio, ma dal pianeta, mentre quelle del secondo erompono dalla terra (e sono perciò detti "infernali"). 
Non solo la provenienza del fulmine permetteva di trarre l'auspicio, ma anche il colore. 
Non tutti i fulmini venivano però considerati divinatori: vi era infatti la distinzione di essi in fatidica (ossia, quelli che vengono dall'alto o dalle stelle), bruta (quelli che non significano nulla), vana (quello il cui significato è svanito). 
Vi era poi un tipo particolare di fulmine, detto regale, che colpisce il foro, il comizio o i principali luoghi di una libera città, preannunciando pericoli di monarchia.

Le fonti ci informano abbastanza dettagliatamente di un rito di purificazione del luogo colpito da un fulmine. Descrive Lucano3  l'aruspice Arrunus mentre si aggira mormorando preghiere e raccogliendo i tizzoni del fulmine, seppellendoli poi con cura in un luogo recintato e dedicato al dio dal quale la folgore è stata lanciata.

      A motivo di tutti questi avvenimenti si decretò di far intervenire, 
      secondo l'antica consuetudine, gli aruspici etruschi. Il più vecchio di 
      essi, Arrunte, che abitava le mura di Lucca deserta, esperto 
      nell'interpretare i movimenti della folgore e le calde vene delle fibre e 
      i presagi degli uccelli erranti nell'aria, ordina per prima cosa di 
      eliminare i parti mostruosi, che la natura, che non seguiva più le sue 
      leggi, aveva generato senza alcun seme, e di bruciare con fiamme funeste 
      gli orrendi prodotti di uteri infecondi. Subito dopo comanda ai cittadini 
      impauriti di fare il giro dell'intera città e ai sacerdoti, cui spettavano 
      i sacrifici, di percorrere il lungo pomèrio agli estremi confini 
      dell'Urbe, purificando le mura con una solenne processione. Tien dietro il 
      gruppo degli assistenti, succinti secondo l'usanza di Gabii, e a capo del 
      gruppo delle Vestali è la sacerdotessa adorna di bende: a lei soltanto è 
      lecito vedere la troiana Minerva; seguono quelli che custodiscono la 
      volontà degli dèi e i segreti responsi e riconducono il simulacro di 
      Cibèle, dopo averlo bagnato nel piccolo Almone, e l'àugure esperto 
      nell'osservare gli uccelli provenienti da sinistra e il settèmviro, che 
      regola i sacri banchetti, e i Tizii sodali e il Salio che reca lieto sul 
      collo gli scudi sacri e il flàmine con la tiara sul nobile capo. E mentre 
      tutti costoro compiono in processione il giro della città, percorrendola 
      tutta quanta, Arrunte raccoglie i fuochi sparsi di un fulmine e li 
      seppellisce con un mesto mormorio e consacra il luogo alla potenza divina.4


Le folgori poi potevano anche essere addirittura evocate in particolari situazioni, come fece Porsenna che evocò un fulmine contro il mostro Volta che andava danneggiando le campagna di Volsinii 5








Note:
1.Plinio, Naturalis historia, II,143
2. Alcuni studiosi moderni li hanno identificati con il Fato.
3. Lucano, De bello civili libri, I, 608
4.Trad. Progetto Ovidio
5. Plinio, Naturalis historia, II,140

Bibliografia:
Etruschi: una nuova immagine, a cura di M.Cristofani, Giunti, 2000
M. Pallottino, Rasenna, Storia e Civiltà degli Etruschi, Libri Scheiwiller, 1986
A. D'Aversa, L'Etruria e gli Etruschi negli autori classici, Paideia, 1995


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